L’amore di ieri, di oggi e di domani.
Giuliano Mancin il Borgosesia ce l’ha nel cuore.
Cresciuto nelle giovanili granata, è stato poi strepitoso numero 1 in prima squadra (per lui 350 gare disputate in granata) per diventare poi allenatore delle giovanili, dirigente e ancora oggi è sempre presente a dare una mano.
Classe 1949, è originario di Contarina Provincia di Rovigo.
Un decennio più tardi si trasferisce con la famiglia a Borgosesia, città che sarà importantissima per la sua carriera.
<<Ho iniziato a giocare a 14 anni – ricorda Giuliano Mancin – . Questo grazie a Giuseppe Paradiso allora allenatore dei Giovanissimi del Borgosesia. Fu lui a vedermi giocare in un campetto e a propormi i aggregarmi alla squadra>>.
E così iniziò tutto…
<<Sono partito dai Giovanissimi, passando poi negli Allievi. A 16 anni ho esordito in prima squadra, allenata da Giovanni Donna. Era la stagione 1966/1967. L’anno successivo subentrò presidente Milanaccio e fece una squadra per salire, io ritornai nelle giovanili, titolare era Petrovic. Salimmo in Serie D e per 7 anni restai in granata da titolare e dodicesimo>>.
Una carriera tutta a tinte granata, intervallata da un quadriennio a Fara Novarese prima di fare ritorno a “casa”.
Per lui il granata del Borgo è una seconda pelle.
<<In tutto sono stati 20 anni da calciatore del Borgosesia, mi sono ritirato a 39 anni. Restai in Società, ricoprendo il ruolo di allenatore della Juniores, degli Allievi, dei Giovanissimi e dei Pulcini. In seguito cominciai a fare l’accompagnatore della Juniores e il preparatore dei portieri del Settore Giovanile. Oggi sono accompagnatore dell’Under18 e do una mano con i pasti e il trasporto. Faccio parte della Società da 54 anni>>.
Cosa rappresenta il Borgosesia?
<<E’ stato ed è quello che mi ha dato tantissimo, valorizzandomi. Anche io ho dato il mio contributo ma devo ringraziare il Borgosesia se sono arrivato dove sono arrivato. Nel mio piccolo ho fatto una bellissima carriera. Per me il Borgo sta sempre nel cuore>>.
Attraverso gli anni, il gioco è cambiato molto.
<<Adesso è diventato troppo veloce e meno ragionato. Si tende a rubare palla agli avversari e poi impostare, prima si impostava di più con lanci in verticale. L’evoluzione ha portato questo rendendo però il gioco più noioso. Bisogna comunque adeguarsi all’evoluzione del calcio. Ai miei tempi il nostro allenamento era fare la preparazione con tutta la squadra, poi ci si fermava un’oretta e mezzo con calci in porta da parte dell’allenatore; non esisteva il preparatore dei portieri>>.
Tornando agli anni da giocatore quali sono i principali ricordi?
<<L’esordio in IV Serie a 19 anni contro la Pro Vercelli. Davanti a 7500 poersone, loro erano primi e noi penultimi; siamo riusciti a porrtare a casa un punto pareggiando. Un ricordo negativo è legato a una gara giocata a Casale persa 1-0. Presi 4 giornate di squalifica per un gesto contro un arbitro La mia principale dote era nelle uscite basse. Mi chiamavano il gatto e pinza. Nelle prime stagioni si giocava a mani nude>>.
Sicuramente non è stato facile essere profeta in patria.
<<Riuscivo a essere abbastanza freddo. Lasciavo giudicare la gente, non ho mai avuto la presunzione di dire che ero bravo. Anzi cercavo sempre di imparare qualcosa dai bravi portieri che vedevo. Con i compagni con cui giocavo, specialmente con quelli della IV Serie, sono ancora in buonissimi rapporti. Quasi ogni anno ci ritroviamo per un pranzo tutti insieme. Ci sentiamo anche per telefono. Ho giocato con grandi campioni. Penzo andò alla Juventus e fu capocannoniere nel Verona. Mario Villa giocò nella Reggiana in Serie B. Non posso non citare la bandiera granata, il veterano Aurelio Pastore di cui ho un ricordo bellissimo>>.
Intervista a cura di Simone Cerri